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Immagine del redattoreFrancesco Zingoni

PNRR, che cos'è e cosa prevede


“Spendere tutto, bene e con onestà" (Mario Draghi)

Cominciamo dal nome. Tutti noi lo chiamiamo Recovery Fund, cioè “fondo per la ripresa”. Ma il piano straordinario dell’Unione Europea si chiama in realtà Next Generation EU, cioè “l’Europa di Nuova Generazione”. Il Recovery Fund è la parte principale dell’intero piano, ma non la sola. Il nome chiarisce bene l’obiettivo ambiziosissimo che l’Europa ha voluto darsi: non solo quello di riprendersi dalla pandemia, ma di cogliere l’occasione per ridisegnare il volto della propria economia e in fin dei conti della propria società. Per capire come mai è stato necessario mettere in piedi questo imponente piano di aiuti basta un dato. Il crollo nell’anno del Covid è roba da tempo di guerra. Una tale distruzione di ricchezza, di posti di lavoro e di benessere è stato qualcosa di mai visto per intere generazioni di europei.


Risultato: nella primavera dell’anno scorso c’era il rischio concreto che la stessa costruzione europea finisse in frantumi, travolta da una recessione disastrosa e da un “si salvi chi può” che minacciava di far saltare qualsiasi vincolo di solidarietà o di comune interesse.

E invece, nel momento più duro della sua storia unitaria, l’Europa batte un colpo. Nulla è scontato in quella primavera del 2020. Quasi tutte le capitali invocano la necessità di aiuti straordinari, indebitandosi e dando garanzie insieme. E tutti sanno che è a Berlino che si gioca la partita. Angela Merkel, a marzo, si oppone. Ad aprile tentenna. Ma il 18 maggio, arriva la svolta. Merkel e Macron si presentano insieme e annunciano un piano di aiuti da 500 miliardi. La storia d’Europa, quel giorno, cambia. Soldi raccolti sui mercati dall’Ue tutta insieme e girati agli stati membri. Una cosa mai vista in quelle proporzioni. Passano nove giorni e Ursula Von der Leyen, che presiede la Commissione Europea, trasforma l’annuncio in una proposta concreta. La cifra lievita a 750 miliardi di Euro. È una cifra enorme. Sarebbe come dare 1700 euro a ogni cittadino dell’Unione Europea.

Alla fine, ed è la cosa che importa, quell’annuncio di Merkel e Macron e quella proposta di Ursula Von der Leyen diventano realtà. È una realtà che ridisegna il quadro di chi prende e chi dà, con i benefici maggiori per i paesi più colpiti: Italia e Spagna su tutti. E che ridisegna vincoli e controlli: per avere i soldi, e lo si capisce subito, bisogna mettere nero su bianco come si vogliono usare e usarli davvero. Se non convinci gli altri stati membri, non li prendi. Se non li usi come si deve, li perdi. Veniamo dunque a noi, come progetta l'Italia di spendere questi soldi?

La prima cosa che salta all’occhio leggendo il Piano Italiano di Ripresa e Resilienza è che il protagonista, contrariamente a quanto molti possano pensare, non è il Covid. Basta guardare quante volte quest’ultimo viene citato nel documento rispetto ai problemi strutturali del paese. Tutto il progetto, compreso il Pnrr italiano, è ben di più di un piano per risollevarsi dalla pandemia. Come sappiamo l’intento è sfruttare questa tragica battuta d’arresto per ripartire su nuove basi dal punto di vista economico, tecnologico, sociale e ambientale. Inutile dire che per convincere i cosiddetti falchi d’Europa a dire sì, una serie di vincoli molto stringenti è stata escogitata per assicurarsi che nemmeno un euro vada sprecato. Ed è altrettanto ovvio che questi finanziamenti non possano essere usati per la cosiddetta “spesa corrente”, cioè quella che faremmo comunque anche senza cambiare di una virgola la nostra economia. Con quei soldi, per fare un esempio, non ci possiamo pagare le pensioni: dobbiamo destinarli a investimenti ben mirati. Se fossimo una famiglia potremmo dire che il Recovery Fund serve per far studiare i figli, non per pagare l’affitto o fare la spesa. Del resto: in questo gigantesco vortice di miliardi tra Europa, mercati e governi, alla fine alcuni stati pagheranno di tasca loro gli aiuti ad altri stati e si sono impegnati a fare debito comune. L’Italia, nel gergo comunitario, diventa un beneficiario netto. Chi paga il conto vuole impegni precisi. E così il recovery fund più che a un bancomat assomiglia piuttosto alla concessione di un mutuo, con perizie, garanzie, controlli. L’Europa oltre a darci i soldi, ci indica anche in quali direzioni spenderli. Anche questa apparente rigidità dipende da quel nome, così significativo, che è stato scelto per il piano di aiuti. Se, come abbiamo visto, l’ambizione è una “Europa di nuova generazione” e non solo rimediare ai danni creati dal Covid, allora bisogna indirizzare quel denaro sui settori che abbiano due caratteristiche: garantire posti di lavoro alle prossime generazioni e permettere loro di vivere in un ambiente meno compromesso e in una società più equa e inclusiva. Questo spiega perché ogni 100 euro ricevuti almeno 37 devono andare alla transizione ecologica. E almeno 20 a quella digitale. Il resto deve allinearsi agli altri 4 grandi pilastri: la crescita, la coesione, le politiche per la salute e per le nuove generazioni. Ogni paese può poi stabilire dei criteri “orizzontali” di spesa in cui incanalare quei progetti. Nel caso dell’Italia il 40% sarà investito al Sud.

All'Italia in particolare sono state richieste tre riforme per poter accedere a tutti i soldi provenienti dal Next Generation EU:

  1. Riforma del Fisco: prima che l’Europa è l’aritmetica a raccomandarci di non avere 110 miliardi di evasione all’anno e, ad esempio, un catasto allo stato fossile che trasforma le tasse sulla casa in una lotteria. Ecco perché, oltre alle opere su cui spendere i soldi europei, il Recovery Plan dedica così tanto spazio alle riforme raccomandate da Bruxelles. Se un processo civile continuerà a durare 7 anni, non sarà di grande consolazione poterci muovere con un treno all’idrogeno o illuminare casa grazie a una pala eolica. Resteremmo un paese inefficiente e butteremmo alle ortiche un’occasione storica.

  2. Riforma della Pubblica Amministrazione: ci basti una citazione “ci sono più di centomila leggi e regolamenti che creano il caos. Urge una riforma”. Potrebbe essere una frase del Recovery Plan. In realtà viene da un articolo del 1961. L’Ue (anzi, la Cee) era appena nata e non poteva raccomandarci granché. In compenso il problema c’era già e da allora non è stato risolto;

  3. Riforma della Giustizia: se volete costruire una casa e qualcuno vi denuncia sostenendo che il terreno non è vostro, vi conviene mettervi comodi. Magari non sarete sfortunati come quei cugini di Rieti che hanno aspettato 32 anni, ma perché un giudice decida in modo definitivo chi ha ragione, in Italia servono in media 7 anni. In paesi come Repubblica Ceca o Portogallo un anno è più che sufficiente. E la media, in Europa, è comunque un anno e mezzo. Insomma: è un disastro.

Mentre il PNRR punta a raggiungere 6 obiettivi principali:

  1. Digitalizzazione: l'indice europeo Desi, che sintetizza i progressi della digitalizzazione nei Paesi europei, colloca l'Italia nella seconda metà della classifica. Per questo nel Recovery plan italiano è stanziato il 27% delle risorse, per digitalizzare il Paese. Si tratta di una percentuale maggiore rispetto alle richieste europee minime (il 20%), ma di meno a confronto di Germania e Spagna;

  2. Ambiente: la fetta più grossa del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza andrà a “Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica”. Oltre il 28% del totale dei fondi disposizione sarà speso per una serie di interventi che puntano ad aumentare l'uso di energie pulite e a dare una spinta all’economia a basso impatto ambientale. E’ la colonna portante del Recovery Plan italiano. Si chiama “Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica” e, tra fondi europei e nazionali, ha una dote di 69,96 miliardi di euro;

  3. Infrastrutture: la maggior parte di questi fondi europei e nazionali del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza serviranno per ammodernare le ferrovie del nostro Paese;

  4. Istruzione: tra risorse europee e nazionali per Istruzione e Ricerca ci sono a disposizione 33,81 miliardi, più del 13% del totale dei denari del Recovery Plan Italiano. “Una sfida”, l’ha definita il ministro Patrizio Bianchi, “anche perché molti di questi fondi vanno al Mezzogiorno e a tutte le aree più fragili”;

  5. Inclusione sociale: lavoro, periferie delle città, assistenza ai più fragili e infrastrutture sociali. Un ampio ventaglio di interventi per i quali ci sono 29,62 miliardi di euro, tra fondi europei e nazionali, pari a circa il 12% di tutte le risorse disponibili.

  6. Salute: una rete capillare e moderna per la prevenzione e le cure. E’ questo il principale obiettivo della sesta missione del Recovery Plan italiano, quella dedicata alla Salute. Tra fondi europei e nazionali a questo capitolo sono destinati 20,22 miliardi, circa l’8% del totale degli stanziamenti.

Se qualcuno fosse interessato a seguire da vicino gli sviluppi del PNRR segnalo che dal 3 agosto è online il portale ufficiale dedicato a "Italia Domani", il Piano nazionale di ripresa e resilienza: si chiama italiadomani.gov.it. “Sul portale – spiegano in una nota Palazzo Chigi e il ministero dell'Economia – sono illustrati i contenuti del Piano e viene raccontato il percorso di attuazione attraverso schede intuitive e chiare dedicate al monitoraggio degli investimenti e delle riforme, con notizie in continuo aggiornamento. Il sito consente di consultare lo stato di avanzamento di ogni investimento e le spese sostenute", dando modo a "tutti i cittadini" di controllare e monitorare. (fonte: skytg24)



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